BENVENUTI AL CLUB (BEDLAM - 1946)
In principio era il Club.
Andò formandosi lentamente, un embrione immerso nella noia amniotica di una strada ghiaiosa e deserta. Una bifamiliare, un garage, un pollaio di rete e lamiera ondulata e un via vai di facce: le solite facce, la solita gente. Ed è proprio nell’afa e nel silenzio del vialone di Cerciabella che un manipolo di spugne assetate di sapere aspetta ogni settimana di riunirsi nel garage di Nicola, sede del prestigioso Club, tra gli scaffali delle conserve dei pomodori e la sua Ritmo 60 blu, per parlare di cinema, arte, società, cultura e metodi per la conservazione dei carciofini sott’olio. Personaggi approdati per caso negli sprofondi di quel placido quartiere, come il Sottoscritto, che però hanno scovato in quel tempio l’habitat ideale per dissetare e idratare quell’arsura screpolata dell’ignoranza e rincrepolarla con la conoscenza.
Sacerdote massimo in questo santuario di luce, il mio amico Nicola Pozzarelli, esperto di cinema (nonché addetto al banco pesce del Supermercato Sigma di Cori).
E’ dovere del Sottoscritto, in qualità di umile e indegno cronista, dare resoconto delle gesta e del pensiero del nostro Mentore, narrare gli atti, la vita e i successi dei suoi fedeli seguaci, membri del prestigioso Club, diffondere il verbo del Bedlam-pensiero con accuratezza logica e cronologica.
Questo il dovere.
Ma considerando le limitate capacità di cui dispongo, accontentatevi di una cronaca stilata “così come viene”. Anche perché in tutto il Club, il Sottoscritto è l’unico in grado di mettere giù due parole appena sensate, malgrado la costante indecisione di riferirsi a se stesso in prima o in terza persona.
Pertanto...
Sarebbe bello poter dire: “Tutto cominciò quel giorno in cui...”.
In realtà tutto cominciò un pomeriggio, quando tutto era già cominciato da un pezzo. Mi spiego meglio. Il Club era già bello che costituito e collaudato. Ogni lezione, ogni discussione, ogni dibattito ormai da tempo allargava in noi l’angolo di luce del sapere, con l’inebriante effetto simile a quello delle bollicine della coca-cola nel naso.
Solo una cosa non mi era ancora del tutto chiara.
Fino a quel fatidico pomeriggio.
Mi precipitai a casa di Nicola su tutte le furie. Quella fu davvero la volta in cui la nostra amicizia rischiò di rompersi per sempre. Vatti a fidare degli amici. Appena ti distrai un attimo, zac! ti pugnalano alle spalle.
“SweeneyTodd”.
Così
si chiamava quel film cantoso e sanguoso che fu all’origine della
mia rabbia.
Come
ha potuto (mi chiedevo)? Come? Uscivo di casa disgustato, ferito,
mortificato, ma soprattutto determinato ad affrontare la questione di
petto.
Ero
davanti l’uscio di casa Pozzarelli. Bussai a lungo con la furia di
un pazzo finché non si aprì. Ci trovammo così faccia a faccia. Io
e Nicola. Notò subito il mio ciglio feroce. Non ebbe alcuna
reazione.
Tacemmo
a lungo, fissandoci.
Pensai:
“Sono anni che ride di me”.
Pensò:
“Ecco a chi ho regalato le mie bretelle azzurre dei Simpson”.
Seguii
il suo sguardo e capii al volo cosa gli frullava nel cervello,
valutai perfino l’ipotesi di sbarazzarmi di quell’indegno
elasticume tirandoglielo in faccia con disprezzo, se non fosse che
avrei dovuto seguitare il litigio reggendomi le braghe. Così
conservai con sfrontatezza gli accessori di sostegno ai miei precari
paramenti e venni al dunque: “Sono anni che mi porto addosso il
nome BEDLAM dietro tuo suggerimento, nella posta elettronica, nei
forum. Perfino il nostro Club l’hai chiamato così e oggi scopro
che mi hai dato (ci hai dato) il nome di un manicomio. E’ questa la
stima che hai di tutti noi? Di me? Un manicomio! Accidenti a te!
(voce rotta) Come hai potuto! (snif, snif) A me, il tuo migliore
amico (lucciconi agli occhi)”
Dovetti
fermarmi a prendere fiato, altrimenti sarei scoppiato in lacrime, e
il mio orgoglio mi vietava di cedere e liquefarmi così davanti a
colui che mi tradì. Mi aspettavo una sua reazione altrettanto forte,
un putiferio inestinguibile. Ero pronto a tutto, anche a venire alle
mani.
Non
riuscivo a capacitarmi della cosa. Quante cene dei cretini
avrà organizzato il mio amico Nicola ridendo alle mie spalle. Per
qualche secondo Nicola rimase in silenzio. Poi parlò. Spiazzandomi,
come ogni volta: “Ti va un succo di frutta alla pera?”
Accidenti!
Quest’uomo sa come prendermi!
Accettai
il drink ma non volli sedermi. Mi doveva delle spiegazioni. Che non
tardarono ad arrivare.
“Quanto
volte, amico mio, ti ho detto di guardare oltre le apparenze?”
E’
vero, lo diceva sempre.
Stappò
una ZUEGG avanzata dal Sigma, scaduta solo da un paio di mesi. Me la
prose. Sorseggiai direttamente dalla bottiglietta, come piace a me.
“Ricordi
quando ti parlavo del collegamento tra il cinema e la chiave
dell’esistenza?”
E
anche questo era un suo ritornello costante in ogni dibattito. In
altre parole Nicola sostiene che la vita altro non è se non la
continua ricerca di ciò che è bello, piacevole. L’arte è
l’espressione massima del bello, e il cinema è la somma...
“...la
somma vetta dell’arte. Ti ricordi? Ne parlammo diverse volte.
Ebbene, mio caro, Bedlam
è il cuore pulsante del cinema, che è la somma vetta dell’arte,
che è l’espressione della bellezza, che è la chiave
dell’esistenza...”
Insomma,
una roba tipo cane-gatto-topo-fieradellèst.
Cosa
voleva dire
Mi
spiegò che di quel luogo non se ne parla solo in Sweeney
Todd.
Anche un signore di nome Shakespeare ne parlò, ma non è questo il
punto. Fu allora che mi raccontò di un vecchio film in bianco e
nero, “Bedlam”,
appunto.
Un manicomio, dove i matti rinchiusi erano costretti da un
malvagio direttore a recitare in grottesche rappresentazioni. Siamo
in epoca vittoriana, che in italiano significa tanto tempo fa. Mi
raccontò in poche parole ciò di cui parlava il film. Poi mi disse
qualcosa di stupefacente: esattamente ad un’ora dall’inizio del
film, proprio al 60° minuto, c’è un dialogo che pochi hanno
notato, ma sul quale poggia l’essenza del cinema, e di conseguenza,
risalendo via via in ascesa fieradelléstica, l’essenza stessa
della vita. Uno dei rinchiusi mostra ad un altro dei disegni su un
taccuino. Sfogliandolo velocemente i disegni sembrano prendere vita.
Il concetto cinetico che sta alla base del cinema: immagini in
movimento. Al ché il tizio spiega che se si potesse proiettare con
un fascio di luce quelle immagini su una superficie chiara si
potrebbero vedere delle immagini ingrandite che prendono vita.
L’altro, visibilmente colpito da questa idea aggiunse che si
potrebbe far pagare l’ingresso alle persone incuriosite da questa
sorprendente novità. Così il tizio, con una certa amarezza spiega:
“E’ per queste mie idee che mi hanno rinchiuso qui dentro!”
“Capisci,
mio caro? Il cinema in quanto idea affonda le sue radici negli
sprofondi oscuri di un vecchio manicomio, nelle ombre antiche di uno
scantinato vittoriano, perduto nel tempo e nella memoria, nel regno
della sovrana pazzia. Il cinema è pazzia. La follia è la formula
che schiude e decifra i meccanismi incomprensibili della natura,
della vita. Non è forse pazzia rimanere fermi mentre un treno in
corsa, il treno dei Lumière, ci piomba addosso? Alcuni si
spaventarono e si spostarono. Solo un pazzo rimarrebbe fermo, e noi
siamo i pazzi che si sono lasciati travolgere dal treno, dal suo
carico di storie, dai suoi vagoni di emozioni, di risate, di lacrime,
di paure. Non è forse pazzia fissare delle macchie irregolari di
nitrato d’argento su celluloide e leggervi delle storie, ed
emozionarsi per esse? Macchie, sedimenti con forme diverse. Questo e
non altro c’è su una pellicola. Ma quando siamo al cinema non sono
macchie quelle che vediamo, sono racconti, visi, paesaggi, avventure.
Cos’altro è la pazzia, se non vedere ciò che non c’è? Questo,
amico mio è il cinema. Questa è l’arte. Questa è la vita. E
Bedlam
è la sua cassa toracica più profonda. In essa batte un cuore. E
quando il tuo cuore batte per i duelli di Clint Eastwood, o per gli
sguardi tra Ingrid Bergman e Humphrey Bogart o per le evoluzioni di
Buster Keaton, sappi che è lì che quel cuore batte, nelle oscure
stanze di Bedlam.”
Avevo
gli occhi lucidi. Mi succede sempre quando mi scolo col risucchio
l’ultima goccia di ZUEGG alla pera e finisce che me la mando di
traverso. Ero tutto concentrato a trattenermi dal tossire che non
capii un accidente di tutto il discorso bedlòmico che mi fece.
Resistetti ancora un po’, con qualche timida convulsione. Poi
esplosi tossendo ed estromettendo dal mio serbatoio respiratorio
rantoli, tracce di pera e brandelli di anima sulla faccia
esterrefatta di Nicola. Il poveretto fu investito da una massa di
roba che pareva risalire direttamente dall’impianto fognario del
manicomio di cui sopra. Istintivamente tentò con l’avambraccio di
riparare la faccia da quei proiettili di rabbia e ZUEGG, ma calcolò
male le distanze e picchiò violentemente il gomito sul mio mento. Di
riflesso buttai il busto all’indietro, ma un fermaglio delle mie
bretelle, con la faccia ridente di Homer, si staccò e schizzò
dritto sul naso del mio amico. Un fiotto del suo sangue tracciò sul
pavimento la breve distanza tra me e il mio interlocutore dolorante.
E fu proprio su quella striscia rossa che Nicola scivolò, e cadendo
urtò la mia persona ancora alle prese con tentativi asmatici e
sonori di ristabilire una più normale respirazione. In un attimo gli
altri fermagli bretèllici si sentirono autorizzati ad imitare il
compagno girovago e nel giro di pochi istanti mi ritrovai con le
braghe calate. Persi completamente l’equilibrio e crollai addosso a
Nicola, che tentava con difficoltà di risollevarsi.
Fu
in quell’istante che si aprì la porta e sua moglie Marisa entrò
in casa, con le buste della spesa, e mi trovò in mutande, con gli
occhi di fuori, ansimante come un depravato e accovacciato addosso a
Nicola che mugolava dal dolore. Vide quello spettacolo e urlò di
orrore coprendosi gli occhi. Il figlioletto Carmelo entrò al seguito
e si pietrificò alla vista del babbo in atteggiamenti equivoci col
suo migliore amico. Pensando di proteggere la creatura innocente,
Marisa spostò le mani dai suoi occhi a quelli di lui, esponendosi
nuovamente alla scena. Ricominciò ad urlare e si ricoprì la faccia,
scoprendo quella del piccolo che gridò a sua volta. La povera donna
non sapeva più su quale faccia mettere le mani. Optò per quella del
marito e del povero Sottoscritto. Fu una carneficina, alla quale si
unì il piccolo Carmelo con la ferocia di un manga giapponese.
Non
seppi mai quanto comprese la povera donna delle spiegazioni che
confusamente e animatamente cercammo di trasmetterle, mischiando
concetti profondi come succhi di frutta, bretelle di Homer e pazzi di
Bedlam.
Una cosa è certa: se devi litigare col tuo migliore amico,
meglio un pantalone da tuta elasticizzato.
“SweeneyTodd”.
Così
si chiamava quel film cantoso e sanguoso che fu all’origine della
mia rabbia.
Come
ha potuto (mi chiedevo)? Come? Uscivo di casa disgustato, ferito,
mortificato, ma soprattutto determinato ad affrontare la questione di
petto.
Ero
davanti l’uscio di casa Pozzarelli. Bussai a lungo con la furia di
un pazzo finché non si aprì. Ci trovammo così faccia a faccia. Io
e Nicola. Notò subito il mio ciglio feroce. Non ebbe alcuna
reazione.
Tacemmo
a lungo, fissandoci.
Pensai:
“Sono anni che ride di me”.
Pensò:
“Ecco a chi ho regalato le mie bretelle azzurre dei Simpson”.
Seguii
il suo sguardo e capii al volo cosa gli frullava nel cervello,
valutai perfino l’ipotesi di sbarazzarmi di quell’indegno
elasticume tirandoglielo in faccia con disprezzo, se non fosse che
avrei dovuto seguitare il litigio reggendomi le braghe. Così
conservai con sfrontatezza gli accessori di sostegno ai miei precari
paramenti e venni al dunque: “Sono anni che mi porto addosso il
nome BEDLAM dietro tuo suggerimento, nella posta elettronica, nei
forum. Perfino il nostro Club l’hai chiamato così e oggi scopro
che mi hai dato (ci hai dato) il nome di un manicomio. E’ questa la
stima che hai di tutti noi? Di me? Un manicomio! Accidenti a te!
(voce rotta) Come hai potuto! (snif, snif) A me, il tuo migliore
amico (lucciconi agli occhi)”
Dovetti
fermarmi a prendere fiato, altrimenti sarei scoppiato in lacrime, e
il mio orgoglio mi vietava di cedere e liquefarmi così davanti a
colui che mi tradì. Mi aspettavo una sua reazione altrettanto forte,
un putiferio inestinguibile. Ero pronto a tutto, anche a venire alle
mani.
Non
riuscivo a capacitarmi della cosa. Quante cene dei cretini
avrà organizzato il mio amico Nicola ridendo alle mie spalle. Per
qualche secondo Nicola rimase in silenzio. Poi parlò. Spiazzandomi,
come ogni volta: “Ti va un succo di frutta alla pera?”
Accidenti!
Quest’uomo sa come prendermi!
Accettai
il drink ma non volli sedermi. Mi doveva delle spiegazioni. Che non
tardarono ad arrivare.
“Quanto
volte, amico mio, ti ho detto di guardare oltre le apparenze?”
E’
vero, lo diceva sempre.
Stappò
una ZUEGG avanzata dal Sigma, scaduta solo da un paio di mesi. Me la
prose. Sorseggiai direttamente dalla bottiglietta, come piace a me.
“Ricordi
quando ti parlavo del collegamento tra il cinema e la chiave
dell’esistenza?”
E
anche questo era un suo ritornello costante in ogni dibattito. In
altre parole Nicola sostiene che la vita altro non è se non la
continua ricerca di ciò che è bello, piacevole. L’arte è
l’espressione massima del bello, e il cinema è la somma...
“...la
somma vetta dell’arte. Ti ricordi? Ne parlammo diverse volte.
Ebbene, mio caro, Bedlam
è il cuore pulsante del cinema, che è la somma vetta dell’arte,
che è l’espressione della bellezza, che è la chiave
dell’esistenza...”
Insomma,
una roba tipo cane-gatto-topo-fieradellèst.
Cosa
voleva dire
Mi spiegò che di quel luogo non se ne parla solo in Sweeney Todd. Anche un signore di nome Shakespeare ne parlò, ma non è questo il punto. Fu allora che mi raccontò di un vecchio film in bianco e nero, “Bedlam”, appunto.
Mi spiegò che di quel luogo non se ne parla solo in Sweeney Todd. Anche un signore di nome Shakespeare ne parlò, ma non è questo il punto. Fu allora che mi raccontò di un vecchio film in bianco e nero, “Bedlam”, appunto.
Un manicomio, dove i matti rinchiusi erano costretti da un
malvagio direttore a recitare in grottesche rappresentazioni. Siamo
in epoca vittoriana, che in italiano significa tanto tempo fa. Mi
raccontò in poche parole ciò di cui parlava il film. Poi mi disse
qualcosa di stupefacente: esattamente ad un’ora dall’inizio del
film, proprio al 60° minuto, c’è un dialogo che pochi hanno
notato, ma sul quale poggia l’essenza del cinema, e di conseguenza,
risalendo via via in ascesa fieradelléstica, l’essenza stessa
della vita. Uno dei rinchiusi mostra ad un altro dei disegni su un
taccuino. Sfogliandolo velocemente i disegni sembrano prendere vita.
Il concetto cinetico che sta alla base del cinema: immagini in
movimento. Al ché il tizio spiega che se si potesse proiettare con
un fascio di luce quelle immagini su una superficie chiara si
potrebbero vedere delle immagini ingrandite che prendono vita.
L’altro, visibilmente colpito da questa idea aggiunse che si
potrebbe far pagare l’ingresso alle persone incuriosite da questa
sorprendente novità. Così il tizio, con una certa amarezza spiega:
“E’ per queste mie idee che mi hanno rinchiuso qui dentro!”
“Capisci,
mio caro? Il cinema in quanto idea affonda le sue radici negli
sprofondi oscuri di un vecchio manicomio, nelle ombre antiche di uno
scantinato vittoriano, perduto nel tempo e nella memoria, nel regno
della sovrana pazzia. Il cinema è pazzia. La follia è la formula
che schiude e decifra i meccanismi incomprensibili della natura,
della vita. Non è forse pazzia rimanere fermi mentre un treno in
corsa, il treno dei Lumière, ci piomba addosso? Alcuni si
spaventarono e si spostarono. Solo un pazzo rimarrebbe fermo, e noi
siamo i pazzi che si sono lasciati travolgere dal treno, dal suo
carico di storie, dai suoi vagoni di emozioni, di risate, di lacrime,
di paure. Non è forse pazzia fissare delle macchie irregolari di
nitrato d’argento su celluloide e leggervi delle storie, ed
emozionarsi per esse? Macchie, sedimenti con forme diverse. Questo e
non altro c’è su una pellicola. Ma quando siamo al cinema non sono
macchie quelle che vediamo, sono racconti, visi, paesaggi, avventure.
Cos’altro è la pazzia, se non vedere ciò che non c’è? Questo,
amico mio è il cinema. Questa è l’arte. Questa è la vita. E
Bedlam
è la sua cassa toracica più profonda. In essa batte un cuore. E
quando il tuo cuore batte per i duelli di Clint Eastwood, o per gli
sguardi tra Ingrid Bergman e Humphrey Bogart o per le evoluzioni di
Buster Keaton, sappi che è lì che quel cuore batte, nelle oscure
stanze di Bedlam.”
Avevo
gli occhi lucidi. Mi succede sempre quando mi scolo col risucchio
l’ultima goccia di ZUEGG alla pera e finisce che me la mando di
traverso. Ero tutto concentrato a trattenermi dal tossire che non
capii un accidente di tutto il discorso bedlòmico che mi fece.
Resistetti ancora un po’, con qualche timida convulsione. Poi
esplosi tossendo ed estromettendo dal mio serbatoio respiratorio
rantoli, tracce di pera e brandelli di anima sulla faccia
esterrefatta di Nicola. Il poveretto fu investito da una massa di
roba che pareva risalire direttamente dall’impianto fognario del
manicomio di cui sopra. Istintivamente tentò con l’avambraccio di
riparare la faccia da quei proiettili di rabbia e ZUEGG, ma calcolò
male le distanze e picchiò violentemente il gomito sul mio mento. Di
riflesso buttai il busto all’indietro, ma un fermaglio delle mie
bretelle, con la faccia ridente di Homer, si staccò e schizzò
dritto sul naso del mio amico. Un fiotto del suo sangue tracciò sul
pavimento la breve distanza tra me e il mio interlocutore dolorante.
E fu proprio su quella striscia rossa che Nicola scivolò, e cadendo
urtò la mia persona ancora alle prese con tentativi asmatici e
sonori di ristabilire una più normale respirazione. In un attimo gli
altri fermagli bretèllici si sentirono autorizzati ad imitare il
compagno girovago e nel giro di pochi istanti mi ritrovai con le
braghe calate. Persi completamente l’equilibrio e crollai addosso a
Nicola, che tentava con difficoltà di risollevarsi.
Fu
in quell’istante che si aprì la porta e sua moglie Marisa entrò
in casa, con le buste della spesa, e mi trovò in mutande, con gli
occhi di fuori, ansimante come un depravato e accovacciato addosso a
Nicola che mugolava dal dolore. Vide quello spettacolo e urlò di
orrore coprendosi gli occhi. Il figlioletto Carmelo entrò al seguito
e si pietrificò alla vista del babbo in atteggiamenti equivoci col
suo migliore amico. Pensando di proteggere la creatura innocente,
Marisa spostò le mani dai suoi occhi a quelli di lui, esponendosi
nuovamente alla scena. Ricominciò ad urlare e si ricoprì la faccia,
scoprendo quella del piccolo che gridò a sua volta. La povera donna
non sapeva più su quale faccia mettere le mani. Optò per quella del
marito e del povero Sottoscritto. Fu una carneficina, alla quale si
unì il piccolo Carmelo con la ferocia di un manga giapponese.
Non seppi mai quanto comprese la povera donna delle spiegazioni che confusamente e animatamente cercammo di trasmetterle, mischiando concetti profondi come succhi di frutta, bretelle di Homer e pazzi di Bedlam.
Una cosa è certa: se devi litigare col tuo migliore amico, meglio un pantalone da tuta elasticizzato.
Non seppi mai quanto comprese la povera donna delle spiegazioni che confusamente e animatamente cercammo di trasmetterle, mischiando concetti profondi come succhi di frutta, bretelle di Homer e pazzi di Bedlam.
Una cosa è certa: se devi litigare col tuo migliore amico, meglio un pantalone da tuta elasticizzato.
E' vero che la Sigma di Cori è diventata come il bar dei cesdaroni a Garbatella? C'è la fila di fans a litigasse er pangasio vietnamita?
RispondiEliminaTi giuro. Ho prima scoperto il tuo blog per vie che non ti sto a dire.. e poi, solo poi, ho letto il commento sulla Sagrada nel mio blog che mi avrebbe portato al tuo blog con un click. E questa cosa la trovo ancor più divertente... ;)
RispondiEliminaBuon Natale fatto e strafatto, vedi non farlo macerare troppo 'sto blog... ;)
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